Di Anna Maria Corradini

Le più antiche fonti documentarie che riguardano la vasta area denominata Romagnolo, sono custodite all’Archivio di Stato di Palermo e riguardano tre pergamene. Una del 1155, del Tabularium, Commenda della Magione, con la quale Guglielmo I conferma le donazioni conferite dal padre Ruggero all’Ospedale di S. Giovanni dei Lebbrosi; la seconda con la quale Federico II assegna alla Casa della Trinità di Palermo l’Ospedale di S. Giovanni dei Lebbrosi; la terza inerente alla donazione di Giovanna e di sua figlia al monastero di S. Martino delle Scale della terza parte di un mulino, sito in contrada “Passo di S. Barbara” presso il fiume dell’Ammiraglio. Molte altre testimonianze si trovano nelle tantissime pergamene provenienti dagli archivi delle Corporazioni Religiose soppresse, sempre all’Archivio di Stato di Palermo, dove è possibile reperire una ricchissima documentazione dei secoli successivi. Altro importante patrimonio documentario è disponibile all’Archivio Comunale, all’Archivio della Provincia di Palermo, della Camera di Commercio (depositato all’Archivio di Stato) dell’Ospedale Civico, dell’Archivio Diocesano di Palermo. Il territorio di Romagnolo comprende una vasta area della zona costiera sud-orientale palermitana, delimitata da Monte Grifone a ovest e a sud dalle alture che confinano con Villabate. A nord si trova la riva del fiume Oreto che ha rappresentato per secoli il confine della parte urbanizzata, collegata con due ponti: Ponte di Mare e Ponte Ammiraglio. L’unico accesso via terra era costituito ad oriente dalla strada costiera via Messina Marine. Lungo tutto il versante costiero per lo più sabbioso, erano presenti fino all’inizio del secolo XX, terreni coltivati, bagli, approdi naturali, torri agricole e di avvistamento, piccoli complessi edilizi. L’insediamento è avvenuto sia parallelamente al fiume Oreto e alla costa, che perpendicolarmente ad entrambi. A partire dalla parte più vicina al mare e parallele, si snodano le strade via Messina Marine, corso dei Mille, via Sperone, via Funnuta – quasi non più esistente, in parte oggi chiamata via Cirrincione – via Brancaccio, via Conte Federico, via Fichidindia, San Ciro, Croce Verde, via Belmonte Chiavelli, e via Bonagia. In direzione dell’altro orientamento verso l’interno, si trovano strade minori come le vie Bandita, Salvatore Cappello, Buonriposo, Villagrazia, Falsomiele. I toponimi aiutano a conoscere meglio le origini dei luoghi e degli avvenimenti succedutisi nel tempo. Via Messina Marine era chiamata dal popolo Colonnetta o Colonnella, per la presenza di un monumento votivo in marmo dedicato all’Immacolata, fatto innalzare dall’ex senatore di Palermo Corradino Romagnolo, da cui ha preso il nome la borgata, prima di allora denominata Mustazzola. Corso dei Mille ricorda il percorso che effettuò Garibaldi con i Mille, quando provenendo da Misilmeri, scendendo da Gibilrossa, il 27 maggio 1860 raggiunse Palermo, entrando da Porta Termini. Prima di allora si chiamava in due modi: via Porta di Termini, in quanto l’accesso all’interno della cinta muraria, avveniva per quella Porta, oppure via Ponte delle Teste, in riferimento al ponte sull’Oreto, dove sorgeva una piccola piramide nella quale venivano depositate le teste dei giustiziati. La via Funnuta, nel significato stesso del nome in dialetto, “profonda”, stava ad indicare lo sviluppo in lunghezza della strada che diramandosi da corso dei Mille, arrivava fino alla Torre Favarella, molto distante rispetto al suo inizio. La vasta zona più vicina alle mura era quasi interamente di proprietà della famiglia Chiaramonte nel XIV secolo ed era adibita interamente a coltivazione agricola. Dalla parte del mare vi era un grande pianoro detto di S. Erasmo, assolato ed aperto, dove i pescatori della vicina Kalsa (termine derivato dall’arabo che significa “eletta”) stendevano le reti ad asciugare. Il luogo era stato adibito nel XVIII secolo per le esecuzioni del Tribunale dell’Inquisizione. L’odierna via Tiro a Segno collegava il piano di S. Erasmo con la via Porta di Termini, all’altezza di Ponte Ammiraglio. Vicino alle mura meridionali si trovava lo “stradone di S. Antonino” o “strada d’Alcalà”, oggi via Lincoln, un percorso tracciato per collegare il piano di S. Erasmo al convento di S. Antonino. Nel 1778 nell’area adiacente fu realizzata Villa Giulia, il cui nome si deve a Giulia D’Avalos, moglie del viceré Marcantonio Colonna di Stigliano. Si tratta di un giardino all’italiana con perimetro quadrato su progetto di Nicolò Palma. Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XX, furono realizzate importanti opere quali l’Orto Botanico accanto a Villa Giulia, l’Officina del gas, sul piano di S. Erasmo nel 1862, il nuovo macello trasferito nel 1823 nei pressi di Ponte di Mare sul fiume Oreto, le facoltà scientifiche, intorno al 1920, in via Archirafi, , la stazione ferroviaria tra il 1863 e il 1873, l’importante linea Palermo-Corleone, che costeggiava il mare. Alla fine del secolo XIX cominciarono a sorgere svariate industrie di laterizi e manufatti per l’edilizia, vetrerie, stabilimenti per le conserve alimentari di prodotti agricoli e ittici. Importante è infine lo scalo ferroviario realizzato a S. Erasmo nel 1886, snodo fondamentale della linea Palermo-Corleone, stazione provvisoria per i passeggeri, divenuta poi deposito di locomotive. La costa amena e salubre, alla fine del ‘700 fu impreziosita dalla costruzione di ville aristocratiche, tra cui quella del marchese di Ugo delle Favare in stile neogotico (fine ‘800), o quella di Francesco Moncada principe di Larderia (fine ‘700), o la più recente Villa Alfonsa (1894), acquistata dal barone Gabriello Ortolani di Bordonaro. Sulla costa furono edificate strutture per attività ricreative come lo Stand Florio o Tavernetta del tiro al piccione, realizzato nel 1906 su progetto di Ernesto Basile e su commissione della famiglia Florio. Lungo la via Messina Marine vennero aperti molti stabilimenti balneari tra la fine del XIX secolo e specialmente negli anni Trenta quali “Delizia”, “Petrucci”, “Trieste” Virzì, i “Bagni Virzì”, lo “Stabilimento S. Rita”, il “lido Olimpo”, i “Bagni Italia”, vicini ad Acqua dei Corsari. Durante il secolo XX sorsero colonie estive per bambini, strutture assistenziali e sanitarie, come il Solarium “Vittorio Emanuele III” nel 1928 per la cura elioterapica della tubercolosi in stadio avanzato nei bambini, la Casa del Fanciullo “Padre Pio” fondata nel 1962 da padre Vito Bonadonna, parroco della chiesa del SS. Crocifisso; alla fine dell’Ottocento padre Giovanni Messina acquistò, con l’aiuto di varie donazioni, l’edificio dell’Astrachello di Cutò, posto nella parte settentrionale della Kalsa, realizzando nel 1898 la Casa di lavoro e preghiera; un’altra opera notevole fu l’istituzione dell’ospedale Buccheri La Ferla dell’ordine dei Benfratelli. Il presidio era sorto originariamente nella villa di famiglia dei Buccheri La Ferla, là dove si trovava un tempo la villa di Corradino Romagnolo. La struttura fu demolita negli anni Trenta per dare spazio all’impianto dell’ospedale, per la costruzione di nuovi padiglioni. In un territorio così vasto costituito per lo più da fondi agricoli, abbondavano molte cappelle e piccole chiese, costruite dai proprietari delle tenute, a margine dei fondi, come ad esempio la chiesetta della Sacra Famiglia eretta alla fine del secolo XVIII nell’ex Fondo Cappello – costituito da un gruppo di case rurali del XVIII secolo pervenuto alla famiglia Nangano – o quella di Maria SS. Immacolata allo Sperone, costruita da Giuseppe Coglitore. Lungo il fiume Oreto sono da ricordare la chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi, a cui era annesso l’Ospedale degli Infetti fino alla fine del XIX secolo. La chiesa di S. Gaetano e della Madonna del Divino Amore fondata da Antonio Brancaccio nell’omonima borgata. Uno dei luoghi più interessanti sul piano storico e paesaggistico è sicuramente la contrada Favara, dove sorge il castello di Maredolce, costruito su un bacino artificiale, detto Mare dolce, dove arriva l’acqua della sorgente Favara (dall’arabo Fawwarah “pozza d’acqua che fuoriesce con impeto”), costruito dall’emiro arabo Ja’far tra la fine del secolo X e gli inizi dell’XI, riedificato quasi integralmente dal re Ruggero, che lo ampliò creando un grande parco che si estendeva fino alle pendici di Monte Grifone, nel quale trasferì varie specie animali. Qui sorse una cappella dedicata a S. Filippo. Il parco fu poi distrutto dagli Angioini durante l’assedio di Palermo nel XV secolo. L’intero agglomerato comprendeva boschi e una fitta e varia vegetazione, incluse migliaia di palme. Nella parte più meridionale si trovava il baglio Conte Federico, un grande complesso seicentesco con un’ampia corte e residenza patrizia di proprietà dei Federico conti di Villalta. Una menzione merita il sistema difensivo costiero della zona costituito da torri, porte, mura e batterie, che tra i secoli XVI-XIX, fu di vitale importanza per la difesa dei luoghi. Vanno annoverate Torre Carmine nei pressi della sorgente Favara, l’imponente torre di Deputazione di Acqua dei Corsari costruita tra il 1591 e il 1592 su progetto di Camillo Camilliani, le tre batterie del Sacramento, un fortino fatto innalzare dal Senato di Palermo e demolito nel 1849 per volontà di Ferdinando II di Borbone, le batterie di S. Erasmo, Acqua dei Corsari, le porte e le opere del Nuovo Porto. Inoltre erano presenti una serie di torri appartenenti ai privati, che servivano ad integrare il sistema difensivo pubblico della Deputazione del Regno e della universitas cittadina, (dal latino universitas “comunità”, che alla lettera indica un’adunanza di persone aventi interessi comuni. L’istituzione aveva le stesse funzioni del Comune che poi sostituirà tale organismo), sorte per tutelare i fondi padronali e le navi o barche appartenenti ai signori. Importante per il territorio è stata la presenza di sorgenti come quella della Favara e di Acqua dei Corsari, nonché del fiume Oreto, che hanno consentito uno sfruttamento agricolo su larga scala, con l’impianto di numerosi canali irrigui per consentire una razionale distribuzione delle acque. Da evidenziare anche la presenza di mulini a partire dal XVII secolo. Se ne contavano in origine addirittura dodici, per arrivare poi al numero di cinque al tempo di Villabianca (sec. XVIII). Di questi, tutti alimentati ad acqua, si ricordano il mulino Brancaccio, sorto nel 1750, il mulino delle pergole S. Flavia, attivo fino al tempo della Seconda Guerra Mondiale, il mulino della Scaffa, detto così per un dislivello esistente vicino agli argini dell’Oreto dove si trovava. A questi si aggiunse il grande e imponente mulino a vapore Virga già Pecoraino costruito nel 1893 per la molitura dei cereali e la produzione di paste alimentari in corso di Mille. La difesa delle acque era dunque vitale per evitare razzie da parte dei nemici e dei pirati che incombevano lungo le coste per approvvigionarsi di acqua e viveri. Interessante per la storia dei luoghi è la toponomastica. Romagnolo non si sottrae alla regola. Nel 1903 il territorio palermitano venne suddiviso dal Comune in urbano e suburbano, in quest’ultima parte rientravano la sezione di Brancaccio comprendente le borgate Acqua dei Corsari, Immacolatella, Roccella, S. Giovanni dei Lebbrosi, Settecannoli e Torrelunga. A parte già quelli esaminati, tra i toponimi più interessanti sono da ricordare: Brancaccio il cui nome deriva da Antonino Brancaccio, governatore di Monreale che lì fondò una chiesa e un villaggio nel 1747. Via Messina Marine, l’antico tracciato che attraverso i paesi della zona costiera raggiungeva Messina. Ponte Ammiraglio, che prende il nome da Giorgio di Antiochia, ammiraglio al servizio del re Ruggero II. S. Giovanni dei Lebbrosi, la chiesa, che, secondo la tradizione, tramandata da Michele Amari, fu fondata dai fratelli normanni Ruggero e Roberto il Guiscardo; nel primo ventennio del XII secolo fu aggiunto l’ospedale per i lebbrosi e altri malati contagiosi. Nel 1575 fu adibito a lazzaretto. Sperone, la cui denominazione allude agli uncini di ferro della forca, dove venivano appesi i resti dei giustiziati. Uso abolito dal viceré Caramanico alla fine del secolo XVIII. Torrelunga, il cui nome si riferisce ad una delle torri difensive dislocate nella zona. Settecannoli, che nella sua accezione fa riferimento a una fonte con sette cannoli di ferro da cui scorreva l’acqua in un abbeveratoio. Roccella è la contrada dove sorgeva un seicentesco borgo in un’area appartenuta a Gaspare La Grutta, principe di Roccella. Immacolatella, è invece zona delimitata dalla vie Sperone e Messina Marine, il cui nome trae origine dalla presenza di una chiesa dedicata all’Immacolata, il cui primo nucleo risale alla prima metà del Settecento, subendo poi nel tempo molti rifacimenti. Acqua dei Corsari deve tale denominazione alla sorgente e al fatto che la zona fosse infestata dai pirati, che facevano spesso incursioni per l’approvvigionamento dell’acqua, o secondo un’altra tradizione, si rifà al cognome dei proprietari della fonte, la famiglia Corsaro. Romagnolo fu in passato oggetto di interesse di scrittori e poeti. Tra i più noti si ricordano Isidoro La Lumia, Vincenzo Mortillaro, Giuseppe Pitrè, Giovanni Meli Si riporta a titolo esemplificativo un brano del Pitrè che descrive un’osteria della zona in piena attività appunto nel Settevento (G. Pitrè, Palermo nel Settecento, a cura di G. Pipitone Federico, Palermo 1916, p. 320):

Di là della Flora, oltre la Tonnarazza ed il ponte di S. Erasmo, a Romagnolo c’era l’osteria di Zè Sciaveria, altra delizia palermitana. Zè Sciaveria (Zia Sciaveria) era il nome dell’intraprendente donna ch’ebbe il coraggio di convertire la solitaria spiaggia in ameno ed elegante ritrovo. Nulla di simile si era saputo ideare in città; e della città esso raccoglieva il meglio delle trattorie e dei caffè […] La novità dell’impresa, l’amenità del sito, fronteggiato a sinistra dal Pellegrino, lambito di fronte dalle acque del golfo, guardato a destra dalla batteria del Sagramento, dalla torre dei Corsari, dal castello di Ficarazzi, che guida l’occhio verso la montagna di Solunto; e dietro e intorno coronati dai monti Grifone, Gerbino e Gibilrossa, ne facevano la grande attrattiva giornaliera d’ogni persona che avesse voglia di passare qualche ora spensieratamente divertita. Era nata appena ed era già celebre, ed a frotte vi andavano d’ogni classe persone; giacché Zè Sciaveria era un posto buono per tutto. Poeti superiori come il Meli, mediocri come il Melchiorre ne decantavano le meraviglie”

A proposito del poeta Giovanni Meli, egli stesso compose una poesia intitolata “Zè Sciaveria” (in Anacreontici e Canzunetti) di cui si riportano alcuni versi:

La Zè Sciaveria / ntra la sua ripa / metti a lu pubblicu / na nova stipa. / Na godibilia / na festa granni / ‘ntima e l’annunzia / pri tutti banni […] balli e tripudi / sàauti a muntuni / favuli e brinnisi / soni e canzuni […] Na bella musica / la quali servi / a stuzzicarivi / musculi e nervi […] viniti a godiri, / o villeggianti, / cu li reciprochi / vostri galanti / granni e picciotti, / chi ntra lu viviri / siti chiù dotti. / Viniti a cògghiri / li belli frutti / chi dà la vutti […] Nun si rifiutano / li maritati, / basta ch’un fussiru / troppu ‘ngrasciati […]”

La poesia continua descrivendo questo luogo così vivace e frequentatissimo, dove non mancava certo il movimento e l’allegria. Nella seconda metà del Settecento, come provano le testimonianze autorevoli di Meli e Pitrè, la contrada aveva vissuto un periodo di prosperità e di forte richiamo per i palermitani. Nell’Ottocento la borgata assunse una fisionomia diversa, prevalsero le attività della pesca e dell’agricoltura. Il posto tornò ad essere frequentato nei primi decenni del secolo XX, per l’incrementarsi di stabilimenti balneari. Romagnolo divenne ancora una volta punto di incontro di musicisti, poeti e artisti che ne esaltarono le bellezze paesaggistiche.

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